Scomparsa dall’uso comune come attrezzo, la beidana è tornata recentemente di grande interesse da una varietà di punti di vista: storico, antropologico, collezionistico, perfino sotto il profilo ludico.

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Si tratta di un termine di derivazione dialettale, che tuttavia è utilizzato come designazione tecnica anche da parte degli studiosi di armi antiche e compare attualmente anche nel manuale di riferimento per la compilazione delle schede di catalogo elaborato dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione del Ministero per i beni e le attività culturali.

Il nome beidana è la denominazione italianizzata del patouà della val Pellice, mentre è assente in quello della val Germanasca. L’etimologia è incerta e la parentela linguistica più verosimile è con i termini francesi bédoil e bédouche, che indicano una sorta di roncola da guerra, irta di punte, con una somiglianza tipologica che pone tutti questi oggetti in un più ampio gruppo di armi manesche nate da attrezzi contadini in un’area non vastissima che va dalle valli valdesi alla valle di Susa alla Savoia.

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Inizialmente più corta e massiccia per poter essere usata per disboscare, lavorando a portata di braccio, la beidana avrebbe dunque subito un’evoluzione in direzione di arma, utilizzata dai contadini delle valli valdesi nel corso delle guerre della seconda metà del Cinquecento e del Seicento, quando, durante la guerriglia, anche quelle che erano armi di circostanza, armi improprie, divennero armi vere e proprie. […]

Tratto da Marco Fratini Dalle “guerre valdesi” ad internet. Storia e curiosità della beidana, attrezzo agricolo delle valli valdesi” in «La beidana. Cultura e storia nelle valli valdesi», Torre Pellice, Fondazione Centro Culturale Valdese Editore, 46, 2003, p. 2.